giovedì 14 febbraio 2013

"Bisaccia la gentile" (Un viaggio elettorale di F. DE SANCTIS)

[Don Pietro, che aveva avuto il delicato pensiero di venirmi incontro sino in Lacedonia, era un eccellente compagnia. Veggendomi taciturno, indovinò la mia preoccupazione, e vi tirò su il discorso. Non vi dee spiacer troppo, disse, che qui incontriate tanta resistenza. Un lavoro preparato da tanto tempo non si può disfare un un' ora; le passioni sono accese, e' è molta tensione negli spiriti. Ci vuole il tempo, e voi solo potete riuscire a conciliare gli animi se, accettando la deputazione, volete fare questo bene al collegio. Don Pietro parlava con quel tono naturale e sincero che ti guadagna subito. Mi apersi tutto con lui. Non ricuserò, dissi, se mi persuado di poterlo fare questo bene. Ciò che mi spiace, non è la resistenza, ma la rozzezza. La resistenza la capisco, e me l'aspettavo; la rozzezza m'è cosa nuova». 
«Pure vi dee piacere non dico la gentilezza, ma tante prove di devozione e di affetto che vi danno i vostri amici. Io lo guardai commosso. Egli voleva dirmi che un sol tratto d'amicizia basta a far dimenticare molti atti di villania.
Mi dava così una lezione con infinito garbo. Del resto, aggiunse, a Bisaccia avrete un' accoglienza meno lontana dalla vostra aspettazione.]

[Quell'accoglienza lieta e schietta, che mi fece il popolo di Bisaccia, come si fa ad amico desiderato e atteso, m'ispirava una fiducia piena. Sentivo come fossi in mezzo alla mia famiglia.]

[Mi dissero tante cose amabili, e nessuno parlò a me di elezioni, né io loro. Tutti promisero di venirmi a sentire. E Fabio Rollo? mi uscì a un tratto.
Quel Fabio era la mia idea fissa. Mi dicevano che era uno de' capi più risoluti di parte contraria. E avevo inteso a dire che era un giovane distintissimo. Mi aveva fatta molta pena a vedere il suo nome tra quelli dei membri dell'ufficio centrale, che nel primo ballottaggio avevano proclamato eletto il mio competitore che era in grande minoranza, e le ragioni addotte mi parevano cavilli di avvocatuzzo, a' quali non vedevo come dovesse associarsi lui. Sola scusa era la passione. E questo appunto mi trafiggeva, a vedermi avversario e così appassionato quell'uomo lì. Se i giovani e i giovani intelligenti e generosi non sono essi almeno con me, a chi ricorro io? Ed ecco don Pietro presentarmi Fabio Rollo. Mi porse la mano con una sicurezza che mi piacque. Non era nella faccia niente di quel sorriso abituale e cerimonioso che hanno le facce sospette. Stava lì, semplice e naturale, come chi non ha niente a nascondere, niente a mostrare. Me lo dicevano un telegrafista. Ma c'era lì dentro ben altra stoffa. Venne l'ora del desinare, e la conversazione si prolungò molto tempo dopo il pranzo. Mi sentivo così bene in quel cerchio allegro di amici. Fabio prese subito il suo posto, divenne il protagonista. Spronato da me, raccontò qualche episodio delle sue vita.]

[Mi si parlò del castello di Bisaccia, dove si diceva era stato il Tasso, e mi promisero di mostrarmi la stanza dove aveva dimorato.]

[Il dì appresso, trovai tutto presto. Mi presi la solita mezz'oretta di raccoglimento, e diritto alla casa comunale. Sala piena. C'era lì, mi dissero, tutta Bisaccia. Girai un poco. Vidi facce ridenti, benevole. Ricuperai il mio buon umore, e cominciai subito: «Debbo innanzi tutto ringraziarvi di vedervi tutti qui. Un atto di cortesia, che fa onore a questo paese, il quale d'ora innanzi chiamerò Bisaccia la gentile.]

[Io non domando a voi i voti, ma domando a tutti la loro stima e la loro amicizia. Venite qui, Fabio Rollo; venite qui e stringete la mia mano, mai mano più pura avrete stretta in vostra vita». Fabio, che era lì in piedi dietro una siepe di uditori, non esitò, non ebbe il menomo imbarazzo. Venne diretto a me, e mi strinse la mano, e io sentii che acquistavo un amico, di quelli amiciche non ti dimenticano mai. La commozione era generale; gli applausi si prolungavano: cosa non avrei fatto io allora per i miei elettori? Promisi che sarei il loro deputato. L'esempio di Bisaccia, conchiusi, m'inspira fiducia che mi acquisterò col tempo l'amicizia anche di quelli che rimangono tra' miei avversarii. La gioia era dipinta su tutti i volti. E anche sul mio. Mi sentivo soddisfatto, ricompensato abbastanza dal mio viaggio.]

[Poi mi condussero al castello, e mi mostrarono la stanza del Tasso. Chi diceva: è questa, e chi diceva: no, è quella. Mi fermai in una che aveva una vista infinita di selve e di monti e di neve sotto un cielo grigio. Povero Tasso! pensai, anche nella tua anima il cielo era fatto grigio. Che vale la bella vista, quando entro è scuro? Stetti un po' affacciato. Vedevo certi ultimi monti così sfumati, così fluttuanti, che parevano nuvole, e mi davano Vimpressione di quell'interminabile, di quel lontano lontano che spaventa, e rimasi un pezzo balordo, e non indovinavo l'uscita. Volli partire subito. Temevo il tempo non si guastasse. Ed ecco giungermi questo telegramma: «non partite; debbo comunicarvi cose importanti». Che sarà? che non sarà? mormoravano. Sorrisi, e dissi: tal cosa e importante per uno, che è frivola per l'altro. L'importanza è secondo ì cervelli. Non c'è tempo a perdere, il tempo si metteva a pioggia. Partii.]

[Addio, Bisaccia, dove vidi qualche strada netta, e dove non vidi nessun cencioso, che dimandasse limosina. Avevi anche tu i tuoi cenci, le tue miserie e le tue discordie. Ma le occultasti come ne' dì di festa, e mi accogliesti lieta e cortese. Molti gentili pensieri io colsi in te. Quel garbo nella conversazione, quell'accordo de' visi, se non de' cuori, quella semplicità e naturalezza di accoglienza, quella nessuna giustificazione e nessuna vanteria, anzi quel non parlarmi punto della elezione, e quel fare gli onori di casa all’ospite tutti; quasi Bisaccia fosse stata una casa sola, oh! nessun pensiero gentile trovò freddo il mio cuore. Addio, Bisaccia la gentile.]


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