sabato 26 gennaio 2013

"So' curti e teneno 'a pelle scura..."

Robert Sabatier diceva:  "Il razzismo è un modo di delegare ad altri il disgusto che abbiamo di noi stessi."

      


“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”

“Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare.
Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia.

Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

Il testo è tratto da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912

giovedì 17 gennaio 2013

Giornata del Dialetto e delle lingue locali


"Nel mondo ogni 14 giorni scompare una lingua locale portando dietro di sé tradizioni, storia, cultura. Le Pro loco - ha dichiarato il Presidente UNPLI, Claudio Nardocci - hanno raccolto questo grido d'allarme che si leva da ogni parte del mondo sul fenomeno. Le lingue locali sono il collante che ci unisce alle nostre radici, il tenue filo che ci tiene legati alla cultura popolare e alla storia del territorio".

SALVIAMO IL NOSTRO DIALETTO IRPINO !

sabato 12 gennaio 2013

"Lacedonia" (Un viaggio elettorale di F. DE SANCTIS)

[Bel paese mi parea, questo, che mi ridea dalla sua altura. Là erano molte memorie della mia fanciullezza, e là avevo lasciati molti sogni de' miei anni. Mentre si saliva tra sparo di mortaletti e grida confuse e scalpitare di cavalli, io ero in cerca de' trascorsi anni, e poco mi accorgevo di quel chiasso, quando un' eccellenza! mi sonò all’orecchio e mi svegliò. Era un pover'uomo che mi porse una supplica, e lessi subito!
«Eccellenza! Vi prego di volermi accordare un sussidio giornaliero.... Ohimè, diss'io, si comincia male. Questo disgraziato mi crede un' eccellenza, e per di più un milionario. Tirai un po' turbato e scontento, non sapevo io stesso di che, al municipio.]

[Credevo trovarvi tutti gli elettori, come a Rocchetta. Mancavano molti, mancavano anche i Franciosi, in casa di cui dovevo andare. 
E nel mio disappunto guardai un po' di traverso il sindaco, che mi parve più sollecito di venirmi incontro, che di fare gli avvisi e prendere disposizioni opportune. Il mio disappunto mi comparve sulla faccia, e oscurò i volti di tanti bravi amici che m'erano intorno. Si fece uno di quei silenzi, che parlano più della parola, ci capivamo tutti. Ma fu un momento. Domandai scrivere. Scrissi: «Caro Franciosi, Sono il vostro ospite, e non mi venite incontro, e non vi trovo qui,...» E non so cos'altro mi sarebbe venuto sotto la penna, ma mi padroneggiai subito e dissi: qui ci dee essere un malinteso, e stracciai la carta. Vidi che quella gente stava lì per sentirmi, e dissi poche parole col cuore, e mi batterono le mani e le facce si rischiararono. Ora sono stanco, conchiusi, domani voglio vedere tutti gli elettori qui. E andai a casa Franciosi.]

[Rimasi solo. E mi affacciai subito. Era dinanzi a me una larga distesa di cielo. Mi parea vedere lontano il Vulture, con la sua cima nevosa, fiammeggiante un giorno, e con le spalle selvose, onde si stende quel bosco infinito e quasi ancora intatto, che si chiama Monticchio. Qui è tanta poesia, dicevo, e costoro pensano a Cupido con le ali. E ricordai questo bel sonetto sul Vulture, che ispirato da quei luoghi improvvisò Regaldi.]

[Ah! dimmi, o sepolcral muta fornace, O monte carco di vetusta lava, Da quale età nel grembo tuo si tace L’incendio che terribile tonava? Sin dall’alba de' tempi il capo audace Coronato di fiamme al ciel s' alzava, E all’uomo tratto sul cammin fallace Dello sdegno del Nume ognor parlava. Ma forse allora che un immenso flutto Travolse l'erbe, in te si estinse l'ira Per la pietà dell'universo tutto; Ed ora l'erbe e i fior manto ti sono, E l'aer dolce che d'intorno spira Parla all’uomo di pace e di perdono».]

[E andavo e riandavo per le stanze, accompagnando co' passi e co' gesti i miei pensieri, quando sentii gente nel salotto e uscii.]

[Ecco rientrare il sindaco con un telegramma in mano. Una grossa notizia, signori. Don Serafino è passato a sinistra. Ooooh!
E il Comitato di Sinistra appoggia Don Serafino contro De Sanctis. Ooooh! Il sindaco andò via. 
Bugia, bugia, gridarono. E il teologo non rideva più, anzi con faccia sdegnosa mi si avvicinò, malmenando il sindaco, e che non doveva leggere quella cartoffia, e che l'era una impostura, e che queste cose non si fanno. Pareva una calunnia al buon Serafino. Non concepivano, come nella stessa elezione e agli stessi elettori lo stesso candidato potesse recitare due programmi diversi. Le menti erano scombussolate. Fino il padrone di casa, il bravo Michelangiolo, che se ne sta sempre vicino al foco, e temendo di raffreddarsi sta sempre raffreddato, lui che dice sempre sì, con quel certo movimento da sinistra a dritta della faccia che significa: è naturale, la cosa è così; questa volta, attirato nel salotto dalla grossa notizia, fece pure il suo oooh! allungando il naso, che in quel viso macilento parea già lungo. Io me la godevo, io di tutti il meno sorpreso, perché se ignoravo il dietroscena di Lacedonia, conoscevo perfettamente il dietroscena di Napoli. Sapevo di quella giravolta a sinistra, sub conditione, proposta e accettata, e la condizione era un faremo ritirare De Sanctis e ridevo, perché quei signori, proponenti e accettanti, facevano il conto senza l'oste, e l'oste ero io, principale interessato. Sentivo dunque quelle esclamazioni con un certo piacere, perché in quelle impressioni mediate vedevo rivelarsi quel buon sentimento naturale, che anche i più prevenuti conservano in qualche piega dimenticata del cuore, e che scatta fuori improvviso in certi momenti.]

[Rimasto solo, passeggiavo per lungo e per largo nel salotto. Che andare a letto! Il cervello fumava come il mio eterno sigaro. Non avevo dormito che poche ore a Rocchetta. Ma il sonno se n'era ito. E lo spirito sostentava il corpo. Fumavo e fantasticavo.]


domenica 6 gennaio 2013

"Rocchetta la poetica" (Un viaggio elettorale di F. DE SANCTIS)

[Decretata la rinnovazione del ballottaggio, dissi: ora vado io là.]

[Fu spedito un corriere a Rocchetta di Sant'Antonio, la porta del mio collegio da quel lato. Doveva annunziare il mio arrivo, e consegnare una mia lettera al Sindaco. Chi fosse il Sindaco, non sapevo. Ma, conoscendo le piccole gelosie de' paesi, è stato sempre mio costume di indirizzarmi ai sindaci, come quello che rappresentano tutta la cittadinanza. Scriveva al Sindaco: «Vengo costà, diretto alla casa comunale, la casa di tutti, e voglio parlare a tutti gli elettori, senza distinzione. Ne dia avviso specialmente all’arciprete Piccolo, mia vecchia conoscenza». Alcuni non credettero vera la lettera. Nelle lotte elettorali tra gli altri bei costumi ci è falsar telegrammi e lettere. E proprio sua questa lettera? E mentre disputavano fu annunziata la mia carrozza. Allora si posero a cavallo tutti, e mi vennero incontro.]

[Alla voltata mi fu mostrato quello spettacolo. Gridavano: Viva! Mi salutavano con le mani, impazienti di stringer la mia. E la faccia mi raggiò, come se l'anima fosse scesa lì. Fra molta folla giunsi alla casa comunale, e mi feci presentare gli elettori ad uno ad uno. Strinsi la mano a parecchi, e tra gli altri Ippolito  e Piccoli, che passavano per miei avversarli. Poi dissi così: «Saluto con viva commozione Rocchetta, la porta del mio collegio native. Il luogo dove son nato è Morra Irpino; ma la mia patria politica si stende da Rocchetta insino ad Aquilonia. Io vengo a rivendicare la patria mia.]
 
[Dopo un oblìo di quattordici anni, voi miei concittadini, travagliati da lungo ed ostinato lavoro di parecchi candidati, avete all’ultima ora improvvisata la mia candidatura, ed avete intorno al mio nome inalberata la bandiera della moralità. Siate benedetti! E possa questa bandiera esser principio di vita nuova! Voi mi avete data una maggioranza notevole. Eppure quell'elezione gittò il tutto nell'anima mia. Io vi avevo telegrafato: «Bravi gli elettori che intorno candidatura improvvisata inalberarono bandiera moralità! Auguro a quella bandiera strepitosa vittoria domenica». La domenica venne, la vittoria ci fu, e mi parve una sconfitta. Non mi sapevo dar ragione di tanto accanimento nella lotta, e del gran numero di voti contrarli, e di certe proteste vergognose, che gittavano il disonore su questo sfortunato collegio. E in verità vi dico, che se quell'elezione fosse stata convalidata, con core sanguinante, ma deciso, vi avrei abbandonato. Ma benedissi quelle proteste che indussero Giunta e Camera a decretare la rinnovazione del ballottaggio.]

[Era in questione l'onor mio, l'onore dei miei elettori. Ed io dissi: fin' ora sono stato in Napoli spettatore quasi indifferente di quella lotta. Non debbo io fare qualche cosa per questi elettori? Non mi conoscono, sono involti in una rete di menzogne e di equivoci. Io ho pure il debito d'illuminarli, di dire la verità, di togliere ogni scusa agli uomini di mala fede. Ed eccomi qui in mezzo a voi, miei cari concittadini. Ed ecco la verità. Il Collegio è diviso in due partiti che lottano accanitamente, comuni contro comuni, cittadini contro cittadini ed io non sono qui che il prestanome delle vostre collere e delle vostre divisioni. È così che volete rendere la patria a Francesco De Sanctis? No, io non potrei essere mai deputato di un partito per schiacciare un altro partito; non posso essere lo scudo degli uni e il flagello degli altri; io voglio essere il deputato di tutti, voglio lasciare nella mia patria una memoria benedetta da tutti. Mi volete davvero? Volete che io passi gli ultimi miei anni in mezzo a voi? Stringete le destre, sia il mio nome simbolo della vostra unione. Ed io sarò vostro per tutta la vita».]

[La mattina girai un po' il paese. Faccie allegre e sincere, bella e forte gioventù. A destra, a sinistra, gruppi che mi salutavano. Volli vedere cantanti e sonatori, e dissi loro che volevo battezzare quel paese così allegro, e lo chiamai Rocchetta la poetica.]

[Giunse il sindaco di Lacedonia con parecchi altri. Si fece una soia cavalcata, e via a Lacedonia. Io mi sentivo purificato. Venuto con un disegno non ben chiaro, e con molta passione, alla vista dei miei concittadini non ci fu in me altro sentimento, che di riacquistar la mia patria. Essi m'avevano già conquistato; dovevo conquistar loro, guadagnarmi i loro cuori. E la cosa mi pareva facile. Rocchetta la poetica aveva trovato il motto dell'elezione. Nel partire, serrandosi intorno a me, gridavano: Tutti con tutti. Ed io, rapito, risposi: E uno con tutti. 
Era realtà? Era poesia? In quel momento era realtà. Le mani si levarono. Pareva un giuramento. Tutti ci sentivamo migliori.]

sabato 5 gennaio 2013

"Un viaggio elettorale" di F. DE SANCTIS


Il candidato al Parlamento Francesco De Sanctis, già ministro della pubblica istruzione nei governi Cavour e Ricasoli, è il viaggiatore disincantato che cerca nelle remote terre dell’Alta Irpinia, poste tra la valle dell’Ofanto e il vulture, di spiegare quanto sia necessario calare l’ideale nel reale, superare i mali e le esasperazioni dei regionalismi, causa di "guerricciole e gelosie che generano facilmente in pettegolezzi sulla stampa locale’, distruggere i partiti personali, vere e proprie malattie sociali, e spingere le comunità e la gente onesta fuori dal fatalismo e verso un alto grado di educazione politica" 

(tratto dal libro di  Toni Iermano, Introduzione a F. De Sanctis, Un viaggio elettorale, Cava de' Tirreni, Avagliano, 2003.)

In vista delle imminenti elezioni politiche, noi dell'H-demia della Vrenna abbiamo pensato di riproporre alcune pagine del "Viaggio elettorale" di Francesco De Sanctis,  cercando di proiettare la visione del  "deputato di tutti", quella persona onesta, responsabile, contro gli interessi di parte, le astuzie e le meschinità di ogni tipo.
Il "Viaggio elettorale" ci accompagnerà nei territori dell'Alta Irpinia (Rocchetta «la poetica», Bisaccia« la gentile», Calitri «la nebbiosa», Andretta «la cavillosa», Morra, San Severo, Avellino) fra fatiche, affanni, dubbi, intrighi che contraddistinguono la vita di un candidato.

"La vita è azione; ma solo la dignità e la chiave della vita, e l'onestà la prima qualità dell'uomo politico. "
F.De Sanctis

 
Vi diamo appuntamento qui, sul nostro blog, per intraprendere insieme il "Viaggio elettorale".
A presto.


 



171° lezione


170° lezione